Il concetto di nulla è forse il maggior concetto che filosoficamente si può esprimere. Fatto proprio dalle religioni orientali come il Buddismo è stato ormai provato anche a livello scientifico. Il nulla è una possibilità creativa infinita che dà la possibilità alle cose di apparire alla nostra visione. Anche noi emergiamo dal nulla e dopo la nostra morte vi ritorniamo.
Riabilitata l’ultima strega d’Europa
di Ludovico Polastri
Anna Göldi è stata la vittima dell’ultimo processo di stregoneria tenutosi in Europa, precisamente a Glarona in Svizzera. Correva l’anno 1780 quanto, entrata come domestica della famiglia Tschudi, medico e giudice del tribunale dei Cinque a Glarona. Fu licenziata nell’ottobre dell’anno seguente, dopo che furono trovati degli spilli nel latte della secondogenita del suo datore di lavoro; la bambina cominciò a sputare aghi e a soffrire di convulsioni spastiche. Accusata di averle corrotta l’anima, nel febbraio del 1782 venne arrestata. Sotto tortura confessa di aver stretto un patto con il Diavolo, che si è manifestato a lei sotto forma di un cane nero. Nell’ultimo processo di stregoneria celebrato nell’Europa occidentale, fu condannata a morte e decapitata, ufficialmente come avvelenatrice. Si era sempre confessata innocente. Il governo glaronese aveva chiesto al parlamento di riconoscere che Anna Göldi fosse stata vittima di un «assassinio giudiziario». Il legislativo glaronese aveva già approvato nel novembre scorso una mozione che chiedeva la riabilitazione della donna, contro il parere del governo, che all’epoca riteneva una riabilitazione superflua e proponeva piuttosto di realizzare uno studio storico sulla vicenda. Anche il consiglio sinodale della Chiesa riformata del canton Glarona (la condanna fu pronunciata da un tribunale riformato) aveva deciso un anno fa di rinunciare ad un «atto formale» per la riabilitazione di Anna Göldi, argomentando che la vicenda è stata sufficientemente studiata e che nei fatti Anna Göldi è già stata riabilitata. La decisione del legislativo glaronese è una prima mondiale. Nessun parlamento al mondo ha finora riabilitato una donna condannata per stregoneria. Nel 2007, in occasione del 225esimo anniversario della morte di Anna Göldi, il giornalista glaronese Walter Hauser ha pubblicato il suo libro inchiesta «Der Justizmord».
Nello stesso anno, è stata inaugurata una fondazione in ricordo dell’ultima strega, il cui scopo è l’impegno a favore degli emarginati e delle minoranze.
A settembre è stato aperto il museo Anna Göldi a Mollis, nel canton Glarona, dove saranno esposti anche i documenti ritrovati da Walter Hauser.
Almeno la Svizzera ha riconosciuto e riabilitato questa persona innocente. Il Vaticano non ha mai inaugurato nessun museo dei suoi orrori forse perchè sarebbe così grande che non basterebbe Roma intera.

La chiesa, un popolo che fa storia ( speriamo non come in passato…)
di Ludovico Polastri
Si è inaugurato anche quest’anno, in concomitanza con l’iniziativa lanciata dal teologo Antonio Rungi per ricercare Miss suora 2008, il consueto Meeting di Rimini con la prolusione del card. Bagnasco, presidente della CEI e cardinale di Genova. Lo slogan che ha lanciato è il seguente:” La chiesa, un popolo che fa storia”. La prima osservazione che mi viene in mente è che speriamo non la faccia come l’ha fatta per 2000 anni in quanto fare storia tra crociate, inquisizioni, negazioni di eutanasia, sofferenze come redenzioni, pedofilia e quant’altro è fare una brutta storia. Sarebbe meglio nasconderla anziché andane orgogliosi. Ma del resto dopo i decenni di pontificato del papa globetrotter Woityla, papa definito dall’Avv. Bacchiega “sociale” e non religioso non c’è da meravigliarsi se in questi meeting invece di parlare di cose sacre si parla di tutt’altro invadendo campi estranei alla chiesa che si dovrebbe tenere alla periferia dello stato sociale anziché invaderlo con la prepotenza che l’ha sempre distinta nella sua storia secolare.
Il presidente della conferenza episcopale ha rimarcato che ” la chiesa è un popolo, sta sempre in mezzo alla gente, e non è certo una élite che parla da un pulpito”. Affermazione quanto meno azzardata in quanto non ho mai visto prese di posizione di prelati per invitare alla propria tavola bisognosi o aprire il Vaticano ai rom. Questa sì che potrebbe essere un bell’esempio di stare in mezzo alla gente: far diventare piazza San Pietro un enorme campo rom, con Bagnasco che serve ai tavoli della mensa. Comunque continuando nella sua prolusione Bagnasco ha evidenziato come tra le emergenze ci sia quella dell’educazione ovvero “aprire il giovane alla comprensione della realtà, dunque di sè”. E’ un argomento quello del sé delicatissimo e che se devoluto alla chiesa porta a storture e castrazioni caratteriali micidiali. Frequentare scuole cattoliche serve solo a formare persone represse. Nella mia vita professionale le persone più infime e cattive sono state educate dalle suore e dai preti. Dio ce ne scampi!
Il cardinale ha poi invitato i giovani a far andare di pari passo fede e ragione costruendo una “visione ragionevole della fede”. Giordano Bruno ci aveva provato ed è finito bruciato vivo in Campo dei Fiori. Il continuare a promuovere “una antropologia completa ed integrale”, come dice Bagnasco, risulta un’affermazione quanto meno sinistra…
L’intervento si è poi concluso con un’esortazione degna del “o Roma o morte” e precisamente: “O protagonisti o nessuno”. Siamo arrivati all’arringa dei politici sulle piazze. Che pena…

Una sparizione fatta passare per sequestro
La vittima ed il carnefice?
di Ludovico Polastri
In occasione dell’anniversario della sparizione di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno del 1983, è comparsa su un giornale locale, La Tribuna di Treviso, l’ennesima dichiarazione che sembra voler riaprire una delle infinite piste che riguardano questa inspiegabile sparizione. C’è da dire che questa sparizione era già stata preceduta da un’altra misteriosa scomparsa di una ragazza, Mirella Gregori, anche lei quindicenne avvenuta il 7 maggio del 1983 e mai più ritrovata. Il Vaticano parla subito di sequestro di persona, quando nessuno di fatto aveva potuto approfondire la dinamica della sparizione. Non vogliamo riprendere le solite teorie del ricatto da parte di un fantomatico gruppo terroristico turco, i cosiddetti lupi grigi, che avrebbero fatto pressione sul Papa affinché, dopo l’attentato fatto da Ali Agca la, o le ragazze sarebbero state rapite per scambiarle successivamente con la liberazione di questo strano attentatore. Questa è la pista che è sempre stata data in pasto alla stampa e alla gente perché facessero diventare il Vaticano vittima ricattata anziché protagonista di questa losca vicenda. Che il Vaticano fosse immischiato direttamente in questa sparizione era stato appurato quasi immediatamente allorchè il giudice che si occupava di questo caso, Adele Rando, aveva tentato invano di interrogare i più alti prelati su questa scomparsa. Spesso il Vaticano umilia Corleone in quanto a omertà, così come i suoi porporati sono dei dilettanti in confronto ai vari Riina e Provenzano. Anche Vincenzo Parisi, all’epoca era numero due del SISDE, lamentò la reticenza del Vaticano. Parisi racconta di un suo incontro – poco dopo il rapimento – con monsignor Monduzzi, all’epoca prefetto della casa pontificia. Il suo rapporto ai giudici è del 9 febbraio del 1994. Scrive: “L’intera vicenda di Emanuela Orlandi fu caratterizzata da costante riservatezza da parte della Santa Sede che, pur disponendo di contatti telefonici e probabilmente diversi, non rese partecipi dei contenuti dei suoi rapporti la magistratura e le autorità di polizia”. “Ritengo che le ricerche conoscitive sulla vicenda siano state viziate proprio per il diaframma frapposto fra lo Stato italiano e la Santa Sede, l’intero svolgimento della vicenda fu caratterizzato da numerose iniziative disinformative con fini di palese depistaggio, lasciando nel dubbio gli operatori”. Nel 1994 Procura chiese di ascoltare nell’ordine l’ex segretario di Stato cardinal Casaroli, il cardinal Sodano, monsignor Monduzzi e infine monsignor Martinez, che aveva seguito il tentativo di stabilire il contatto con i presunti rapitori della Orlandi. Ma la rogatoria non venne mai ammessa. Del 1993 è l’incredibile intervista rilasciata dal cardinale Silvio Oddi al quotidiano “Il Tempo”. Emanuela Orlandi – disse il cardinale – non venne sequestrata all’uscita dalla scuola di musica ma quella sera tornò a casa a bordo di un’automobile di lusso sulla quale ripartì. L’ignoto accompagnatore attese la ragazza alla Porta di Sant’Anna, uno degli ingressi della Città del Vaticano, probabilmente (dice Oddi) per non farsi vedere dalle guardie svizzere che avrebbero potuto riconoscerlo”. Spiega poi Oddi: “Non ho nessuna idea di cosa possa essere successo alla ragazza, ma è noto che molte fanciulle occidentali che spariscono vanno poi a finire negli harem e nei bordelli d’Oriente”. L’Avv. Bacchiega in una sua trasmissione riprende questa pista commentandola approfonditamente. Questa ipotesi chiamava in causa come attore principale il poroprato Julius Paetz, all’epoca stretto collaboratore di Papa Voityla che faceva parte del cosiddetto “clan polacco” (capeggiato da monsignor Dziwisz) e ben noto come pedofilo nell’entourage del Santo Padre a tal punto che il Papa stesso fu costretto ad allontanarlo: era accusato di aver abusato sessualmente di alcuni giovani seminaristi e di averne insidiati altri, nel corso degli anni ottanta. Sembra anche che avesse un debole per le minorenni ed in particolare per Emanuela Orlandi che era molto conosciuta, per gli incarichi che aveva suo padre presso la Santa Sede, da tutti i monsignori dell’epoca. Sembra che i due avessero una relazione e che il frutto di questo rapporto stesse per fiorire nel grembo di Emanuela. E’ evidente che una tale notizia avrebbe creato non poco subbuglio nell’ambiente pontificio. Bisognava in qualche modo porre rimedio. A quei tempi i lavori sporchi di una certa entità erano appaltati ad una banda di delinquenti che avrebbero legato la loro fama ad una serie di efferate imprese criminali nell’aera romana: la banda della Magliana al cui capo, in questo periodo, c’era Renato de Pedis, Renatino. A lui sembra fu affidato il compito della sparizione della ragazza. Del resto fu appurato, grazie alle intercettazioni e confessioni della sua amante e moglie del calciatore della Lazio, Giordano, che era invischiato in un traffico di minorenni slave e italiane. Si spiegherebbe così anche il sequestro antecedente della povera Mirella. Renatino fu ampiamente gratificato per questa operazione al tal punto che gli fu riservata con tanto di lettera firmata dal cardinal Poletti un posto per l’eternità, per i servigi fatti al Vaticano, nella basilica di Santa Appollinare in Roma, dove tutt’ora giace. Una telefonata pervenuta ad una nota trasmissione che si occupa di persone scomparse invitava gli inquirenti ad andare a vedere chi (o cosa) c’era sepolto in realtà in quella tomba, cosa a cui il Vaticano si è sempre opposto. Passata la buriana al padre di Emanuela fu riservato un importante incarico all’interno dello IOR. Di Manuela Orlandi, come di Mirella Gregori non si seppe più nulla. Di sicuro non si trattò di un sequestro perché i rapitori non portarono mai prove dell’esistenza in vita delle ragazze. Si trattò invece di una sparizione operata dal Vaticano stesso. Sembra altrettanto improbabile che il Papa non sapesse nulla della vicenda. Penso che questa storia rimarrà sempre avvolta nel mistero anche se questa che ho descritto è la pista più affidabile.

Il Cristianesimo è ancora una religione attuale?
di Ludovico Polastri
E’ indubbio che il Cristianesimo non è più la religione di riferimento del mondo occidentale più evoluto. E’, bisogna riconoscerlo, la religione monoteistica che maggiormente si è modernizzata nel corso della sua esistenza, subendo l’illuminismo, i progressi scientifici e culturali di una civiltà, quella dei paesi industrializzati, che mira a realizzare il paradiso ora e subito piuttosto che rimandarlo all’aleatorietà di una promessa che si deve ancora avverare. Rispetto ad altre religioni, come l’islamismo è senz’altro più tollerante e più progredita. Non certo per merito suo ma per le continue mazzate che gli ambienti culturalmente più progrediti le hanno apportato. Ora però è arrivata al capolinea. Intendiamoci, non rischia certo l’estinzione ma senz’altro non ha più un messaggio incisivo e convincente per il mondo d’oggi. In altre parole non è più al passo con i tempi. Quando sorse il Cristianesimo il periodo storico culturale era quello della dissoluzione dell’impero romano e con la sua disgregazione portò con sé anche le sue credenze, consumate da centinaia e centinaia di anni, importate dall’Antica Grecia e dall’Egitto. Il cristianesimo, riprendendo gli stessi concetti e grazie ad un’operazione straordinaria di marketing dovuta a San Paolo ripropose e adattò alle esigenze del tempo un credo che sapeva rispondere alla necessità di riscatto di fasce popolari che chiedevano maggior spazio. Un messaggio di speranza che era attualissimo e vincente. Si affermò e durò, attraverso guerre e stermini per migliaia di anni, fino a i nostri giorni. Oggi questi messaggi appaiono appannati e consunti. La gerarchia ecclesiale, ripiegata su se stessa, ingerisce senza freni nei fatti privati degli stati. O quanto meno ci prova dato che anche in Spagna, una delle roccaforti storiche del Cristianesimo, si sono stancati di sentir negata qualunque rivendicazione umana. E’ rimasta l’Italia come ultima scialuppa di salvataggio e, a quanto pare, ben solida. I preti novelli che vengono consacrati oggi giorno se vogliono aprire un dialogo con le nuove generazioni devono necessariamente parlare lo stesso linguaggio, linguaggio che non può essere quello dogmatico e ottuso che per millenni è stata l’arma vincente della chiesa romana. E allora si vedono preti che ostentano la croce quasi fosse un piercing, appena abbozzata in un angolo del maglione, parlano in modo non certo ortodosso, utilizzano le risorse moderne che il nostro tempo mette a disposizione. E’ indubbio che ne risulta un messaggio religioso molto annacquato ma necessario se si vuole quanto meno essere accettati dai giovani d’oggi. Generazioni che chiedono una risposta immediata a problemi immediati e non vogliono sentirsi dire che il tutto è rimandato sine die. E allora il messaggio cristiano, che poggia la propria forza sul dopo va in crisi, non ha più nulla da dire se non condannare o fare continue figuracce. Al proprio interno si stanno verificando scissioni e lacerazioni ancora poco evidenti ma che nel corso del tempo porteranno a più cristianesimi e a sincretismi sempre maggiormente più frequenti. Per contro bussano alla porta altre religioni, molto meno tolleranti come quella islamica con cui il cristianesimo si dovrà confrontare. Ha un bel dire il Papa che non c’è lo scontro religioso, c’è eccome! Siamo solo agli inizi di un ennesimo scontro di civiltà che questa volta si insinua silenziosamente tra le pieghe della società occidentale, così democratica e tollerante. Speriamo che essa trovi i propri anticorpi prima che il male sia troppo diffuso.

Quando muori lo decide la chiesa (usando la politica)
di Ludovico Polastri
Nel medioevo, il fatto dell’interruzione volontaria della propria vita per entrare nella morte scegliendo il tempo ed il modo era chiamato “sui homicida” o anche “ipsius homicidium”. E’ stato l’abate francese Defontaines ad utilizzare per la prima volta la parola suicidio, dal latino “se coedes” ed inserirla del Dictionaire de l’Academie. Nella cultura occidentale cristiana, dove Dio è vittorioso sulla morte, è principio indiscutibile che la vita deve essere venerata come valore primario, mentre invece la condotta suicida è sempre immorale e giustificata solo dalla nevrosi o dalla sofferenza mentale. Questo concetto, espresso dall’ Avv. Bacchiega nel suo libro “lineamenti di storia delle religioni” è perfettamente calzante con il caso di Eluana Englaro che, grazie alla caparbietà ed al coraggio di suo padre che vuole rispettare la volontà espressa verbalmente ma purtroppo non scritta di darsi la morte, dovrà avere ancora strascichi anche politici oltre che etici e morali. Il caso di Eluana riguarda più di 3.000 famiglie che devono sopportare il peso morale ed economico di propri congiunti che clinicamente sono morti. La concezione di morte nel nostro tempo sta assumendo una valenza medica che va al di là della morte cerebrale. Ormai diversi medici, portroppo tutti esteri, ritengono che si debba parlare di morte quando l’individuo non ha più la speranza di riacquistare la coscienza di esistere. E questo è uno di questi casi. Ma nonostante ciò la chiesa cattolica si oppone strenuamente come baluardo moralistico e di tutela della vita. Proprio coloro che hanno mandato al rogo migliaia di persone e che si sono macchiati di pedofilia osano fare la ramanzina a questo padre. Si vergognino. Questi fatti hanno le radici nel concetto di sacro, la cui parola richiama il concetto di separazione. Nel momento in cui si sono affermate le religioni monoteistiche l’uomo ha messo al di fuori di sè il sistema di riferimento che lo legava ai principi naturali. Ha abdicato a favore di terzi, ovvero i rappresentati religiosi che fanno da madiatori con quello che dio avrebbe detto. L’uomo comune ha perso la propria indipendenza ed è diventato succube di gente che si arroga il diritto di interpretare fatti morali ed immorali, di separare il giusto dall’ingiusto. L’uomo è l’unico responsabile della propria vita e nessuno deve dirgli come disporne. Tenetelo sempre presente prima che sia troppo tardi e ci sia un Bagnasco, padre di nessun figlio, che decide al posto vostro o lo faccia tramite una pletora di politicanti ossequiosi.

Animali da rogo
Scrivo questo pezzo in quanto è apparso su un giornale locale (vedi sopra) una notizia tanto assurda quanto vera che dimostra che l’inquisizione per certi preti dovrebbe essere reintrodotta, possibilmente estendendola agli eretici peccatori. Nel medio evo chiunque poteva essere accusato di stregoneria: vecchie brutte e magari con dei “porri” sul naso o su parti visibili (si diceva che da lì il diavolo succhiasse la loro linfa vitale) ragazze molto belle,che magari suscitavano l’invidia della persona sbagliata, guaritrici che usavano unguenti ed erbe, spesso mal viste dai medici (come oggi..) Bastava che più disgrazie accadessero in una famiglia..e subito si guardava con sospetto alla vicina d casa, se poi aveva dei gatti… In Europa, dall’anno 1000 fino al 1700, milioni e milioni di gatti (in particolare, quelli neri) vennero massacrati perché ritenute creature demoniache. I gatti, infatti, furono per secoli oggetto di culto da parte dei pagani e, per questo, la Chiesa cristiana pensò, per contrapporsi, di considerarli invece nemici della fede, l’incarnazione del diavolo. In quel periodo nacquero numerose leggende e storie che oggi riterremmo assurde sui gatti, dove però erano sempre visti come mostri malefici e satanici. Persino San Domenico identificò il demonio in un micio nero. Una leggenda molto strana narra che il diavolo costruì un ponte e chiese per sè la prima creatura che lo avesse attraversato, ma un santo, San Cadoco, riuscì ad ingannarlo, dandogli un gatto nero anziché l’essere umano che il demonio avrebbe desiderato possedere. Il papa Gregorio IX, emanò una bolla con la quale autorizzava lo sterminio, a nome di Dio, di tutti i gatti neri e non. Così facendo, ogni “vero cristiano” poteva torturare e uccidere qualsiasi gatto gli capitasse fra le mani. Gli venivano inflitte le torture più terribili: scorticati, bastonati, bruciati vivi, addirittura crocifissi o buttati giù dai campanili delle chiese durante le festività sacre. Un’altra assurda superstizione di quell’epoca sosteneva che, seppellendo o murando vivo un gatto sotto la porta di una casa, ci si assicurava la solidità delle sue mura (Numerosi gatti sono stati murati vivi anche sotto la Chiesa di Cristo e la Torre di Londra, in Inghilterra); oppure un’altra diceva che uccidere un gatto dopo la mietitura era il sistema migliore per assicurarsi un buon raccolto. Oppure, per salvaguardare il proprio gregge o bestiame dalle malattie, si doveva bruciare vivo un gatto e far passare gli animali sul fumo prodotto. La cenere dei gatti bruciati vivi sulle piazze veniva conservata come portafortuna. Nel XIV secolo, in una piccola cittadina francese, molte persone vennero colpite da una malattia del sistema nervoso nota come “Ballo di San Vito”. Le cause dell’epidemia vennero attribuite ai gatti, e così, tutti quelli che furono trovati in paese vennero arsi vivi nella piazza principale. Da quell’episodio nacque la macabra tradizione di ardere vivi i gatti, che durò fino alla seconda metà del XVIII secolo. Questa tradizione consisteva nel chiudere in gabbiette di ferro, annualmente, tredici gatti e bruciarli vivi, per tutelare la popolazione dalle malattie. Nel XV secolo, il papa Innocenzo VIII dichiarò aperta la caccia alle streghe e, a quei tempi, ogni persona che veniva vista in compagnia di un gatto o nutrire un gatto era accusata di tale crimine. Moltissime persone persero la vita e vennero orrendamente bruciate e condannate per crimini che non avevano commesso. Tempi duri per gli amanti dei gatti.
Si pensava anche che, se sulla pelle dei gattini appena nati non veniva incisa una croce, quando sarebbero cresciuti si sarebbero trasformati in streghe, si pensava anche che le donne anziane, di notte, prendessero le sembianze di gatti neri per succhiare il sangue del bestiame.
I gatti, come già accennato prima con le streghe, venivano condannati nei modi più crudeli: sospesi dentro canestri di vimini sulle fiamme, buttati dalle torri. Nella cittadina di Ypres, addirittura, una festa annuale consisteva nel gettare vivi gatti da una torre; questa tradizione sopravvive ancora oggi, soltanto che, per fortuna, i gatti sono finti. Con simili follie da parte dell’uomo, è incredibile che i gatti, in Europa, non si siano estinti, anche se probabilmente andarono molto vicino all’estinzione. Riuscirono a sopravvivere soltanto grazie alla loro prolificità e all’aiuto dei contadini, poichè le assurde tradizioni di cui abbiamo parlato prima erano diffuse principalmente nelle città. In campagna i gatti godevano ancora della stima di un tempo, perchè continuavano a cacciare topi e altri parassiti proteggendo i raccolti. Personalmente ho due gatti neri: Gastone e Ritalin.

Il relativismo
di Ludovico Polastri
Il metodo su cui la scienza odierna basa le proprie affermazioni è la capacità di rendere il più oggettivo possibile l’evento che vuole studiare. In altre parole si deve necessariamente spersonalizzare per dare forza alle proprie affermazioni. Tuttavia dobbiamo affermare che questo metodo è solo una mera intenzione. Non è possibile infatti essere contemporaneamente “oggettivamente scientifici” ed esseri pensanti: se da una scienza rigorosamente oggettiva, si pretendesse che ricavi il proprio contenuto solo dall’osservazione, allora bisognerebbe pretendere anche che rinunci a tutto ciò che per sua natura va oltre ciò che si osserva. Se l’osservare fosse il semplice sgranare gli occhi su un oggetto senza pensare alcunché, l’osservazione non sarebbe molto diversa da quella fatta da un animale o da un soggetto allucinato. Questo dilemma moderno ha le sue radici nella nascita e nello sviluppo storico della scienza stessa. Se andiamo indietro di qualche secolo, il vero significato della scienza moderna o il modo di pensare che ne sta alla base ci appare in due speciali testimonianze. Si tratta di due pubblicazioni significative distanti un secolo circa una dall’altra: la pubblicazione del cardinale Nicolò Cusano (1401-1464) della “Docta ignorantia” (1440), e la “De revolutionibus orbium coelestium” (1543) di Copernico (1473-1543). Nella prima vi è l’ammissione chiara che la conoscenza di allora non era più in grado di raggiungere in modo diretto lo spirito e che esclusivamente attraverso la più certa fra le scienze, la matematica, sarebbe stato ancora possibile sperare di avvicinarvisi, mediante figure simboliche. Nell’altra pubblicazione, quella di Copernico, il pensiero matematico, il sapere matematico, viene invece applicato alla descrizione dell’universo, rivelato dalla sicura matematica. Da questo momento in avanti il mondo comincia ad essere visto in modo meccanico: se per i saggi antichi l’universo non era un complesso meccanico, ora incominciava a divenire ciò che appare agli uomini d’oggi: un meccanismo. Per gli antichi, che erano personalmente inseriti nella spiritualità universale, il cosmo era un insieme vivente, un ente che tutto compenetrava e che comunicava loro attraverso un linguaggio cosmico, che sentivano vivere e operare entro l’infinito, il quale coi fenomeni cosmici rispondeva alle domande sui grandi problemi che essi ponevano all’universo. L’uomo sentiva che lo spirito era presente ovunque e che ovunque poteva essere percepito. Guardando dentro di sé invece, egli riusciva a percepire l’anima, l'”animatrice” del pensiero e perciò diventava messaggera dello spirito. Era con l’anima che sapeva di poter cogliere il mondo materiale-corporeo, come immagine dello spirito. In questa antica sapienza, non esisteva contraddizione fra corpo ed anima, né fra natura e spirito. E poiché il corpo umano era percepito come affine a tutti gli altri corpi della natura, l’uomo si sentiva un’unità, un “monon” con tutto il rimanente mondo, in quanto era capace di farsi consapevole della figura originaria dello spirito e della vastità dell’universo. Non vi era contrasto fra soggetto interno e oggetto esterno. Il contrasto fra il soggetto che sta dentro di noi e l’oggetto che sta fuori, è tipico invece dei tempi moderni, di quando cioè la natura si pone come méta l’indagine “oggettiva”. Ma il cosiddetto “oggettivo” degli scienziati attuali non è la “natura” degli antichi.”Oggettivo” oggi è solo “ciò che è dotato di corporeità materiale”, e in cui non viene più scorto nulla di spirituale. In tal modo la natura, che deve essere compresa da me come qualcosa che sta fuori di me, diventa priva di spirito. L’uomo si mette alla ricerca di una scienza naturale esteriore in quanto ha perduto il proprio nesso interiore con la natura. Di tale perdita è testimone lo spirito stesso del nostro linguaggio: è notevole l’incongruenza che ci mostra la parola “natura” che è legata al concetto di “nascere”, mentre quel che oggi si intende per “natura” è solo e soprattutto un mondo che abbraccia, “scientificamente” solo ciò che è a noi esterno. Anche la posizione attualmente assunta nei confronti della matematica e del suo rapporto con la realtà è significativa per la comprensione dell’attuale pensiero scientifico: per un matematico d’oggi esporre la geometria significa prendere le mosse dalle tre dimensioni dello spazio. Nello spazio tridimensionale egli distingue tre direzioni, ma non sarebbe mai giunto a concepirle, se non avesse la possibilità di sperimentarle con semplici gesti che quotidianamente facciamo. Questi tre orientamenti dell’uomo vengono oggi considerati come qualcosa a lui esterno: i processi che nell’organismo si svolgono essenzialmente dall’avanti all’indietro, da destra a sinistra (o da sinistra a destra) e dall’alto in basso, non vengono sperimentati nella loro qualità interiore, ma solo osservati esteriormente: lo schema spaziale escogitato dalla geometria analitica che pone un punto in uno spazio astratto e traccia tre coordinate ortogonali, è sentito come vuoto e separato da qualsiasi sua esperienza. E’ anche per questo motivo che la matematica insegnata a scuola è spesso vissuta dagli studenti come qualcosa di ostile. Non si tratta di antipatia immotivata verso questa materia, bensì del fatto che essa è stata nel corso di questi ultimo quattro secoli via via sempre più “disumanizzata” e rendendola estranea al proprio corpo umano. La differenza fra l’antica concezione di matematica, legata all’esperienza umana, e quella moderna sradicata dalla vita interiore, appare inoltre caratterizzata anche dal fatto che oggi non si percepisce più la distinzione fra “concetto” (contenuto concettuale, spirituale) e “parola” (materializzazione sonora o scritta del concetto). I nomi dei numeri sono esempi di tale allontanamento. Si pensi per esempio alla parola “due”, etimologicamente formatrice della parola “dubbio”, che è uno stato d’animo incerto fra pensieri diversi o contrari ondeggiante quasi fra “due” pensieri. “Due”, in tedesco “zwei”, esprime ancora distintamente un processo concreto: il verbo “entzweien” significa infatti “spaccare in due”, “separare”, ed ha anch’esso un’affinità con il dubitare, che si dice “zweifeln”. Se poi si tiene presente che la lettera U in latino si scrive V, si ritrova ancora un nesso con le lettere “dv” della parola italiana “dividere”. Ciò dovrebbe bastare per prendere coscienza (o meglio riprendere coscienza) del rapporto fra matematica e interiorità. Molte cose del nostro comune parlare sono tenute insieme da un vero e proprio meccanismo logico continuamente alimentato dallo spirito del linguaggio. Grazie all’osservazione del linguaggio si può prendere atto di come sia profondamente radicato nella cultura odierna uno dei problemi della nostra civiltà. L’idea di “mistica” ha assunto sempre più nei tempi moderni un senso problematico dovuto all’uso ideologico-confessionale del termine. Nei primi secoli cristiani però mistica e matematica venivano poste sul medesimo piano di importanza. La vera mistica era ciò che si sperimentava nell’anima. La matematica era una mistica che si sperimentava anche esternamente, tramite il corpo. In questi ultimi quattro secoli, in cambio di costruzioni matematiche, la maggioranza degli esseri umani ha strappato via la matematica dalla sua connessione con l’interiorità, perdendo gradualmente anche l’esperienza del movimento corporeo precedentemente posseduta . Ciò che permise la nascita dell’astronomia copernicana fu un fatto storico determinante. La matematica (màthesis) era mistica oggettiva, e gli esseri umani, vivendo dentro l’astronomia, sapevano misurare il cosmo mediante il loro organismo in movimento. Poi posero nel cosmo un sistema di coordinate. Ma da tale sistema appena nato essi stessi uscirono progressivamente. L’affermarsi del sistema copernicano è insomma la naturale conseguenza derivante dalla progressiva perdita nell’uomo dell’antica facoltà di sperimentare le cose in se stesso. Questo punto non è considerato dalla nostra cultura attuale, eppure è un importante fatto della storia dell’umanità: poter ammettere il centro di un sistema al di fuori della sfera terrestre consisteva in una completa sovversione dell’atteggiamento psichico dell’umanità civile di allora. Chi sa veramente immaginarsi i fatti, non può non riconoscere la nascita del pensiero scientifico moderno connesso con tale elemento di sovversione. Ed è in questo contesto che Giordano Bruno si rese conto che non era assolutamente evolutivo per l’umanità passare dal dogmatismo allo scientismo. Oggi si dice: “è scientificamente dimostrato”. Ieri valeva: “è un dogma di fede”. Ambedue queste espressioni chiudono ogni possibile apertura alla ricerca della verità ed è questo che Giordano Bruno aveva presentito, tanto da non dare eccessivo spazio alla depurazione della matematica dalla mistica. Egli infatti, possedendo ancora l’esperienza interiore, si esprime sull’universo in modo più lirico che matematico. Soprattutto, si esprime sul sistema copernicano in un modo diverso da come si espressero lo stesso Copernico, Galileo, Keplero, fino a Newton, vero fondatore della mentalità scientifica moderna. Con Newton si costruisce proprio quel quid cosiddetto oggettivo, congetturato senza più alcuna relazione con un’esperienza diretta dei fatti. Con Newton viene affermata l’aspirazione a separare del tutto l’esperienza fatta nel corpo fisico umano e ad oggettivare ciò che in passato si era concepito come strettamente congiunto con tale esperienza. Tramite tale separazione nasce la fisica moderna: “solo per effetto di tale separazione”. Con tale separazione però non è più possibile esprimere secondo criteri scientifici per esempio l’idea di moto. Senza la mia partecipazione al moto in quanto osservatore mi sarà infatti completamente indifferente se sia quel tale oggetto a muoversi rispetto a un altro o se sia quest’altro ad essere in movimento. Per far capire meglio quest’idea, si pensi al trucco usato nel cinema grazie al quale l’attore che sta al volante di un auto ferma in uno studio cinematografico, pare essere in corsa perchè numerose immagini di una strada e di un paesaggio sfilano dietro di lui in velocità. Se io guardo queste immagini ho l’illusione del movimento di un oggetto che però nella realtà è fermo. Quel movimento è dunque qualcosa di relativo. Nel caso in cui invece sia io a camminare realmente, nessuno, neanche la “Scienza” dovrebbe poter decretare, neppure secondo la teoria della relatività di Einstein, che è indifferente o relativo se sia io a muovermi o se sia il terreno a farlo in direzione opposta. Eppure la scienza di oggi ha ancora questa pretesa, una pretesa “scientifica” costruita su concetti totalmente inattuabili. Se da una parte Newton era ancora del tutto certo di poter ammettere dei moti assoluti, con pensieri basati su una concezione della matematica totalmente quantitativa, dall’altra, pensatori come Einstein si accorgono che assieme all’esperienza interiore l’uomo si stava perdendo anche la conoscenza del moto. La teoria della relatività di Einstein diventa un paradosso storico, una necessità storica: dovrà esistere fino a quando si riuscirà a farne a meno. Infatti, “volendo conseguire conoscenza del moto o dello stato di quiete, occorre partecipare all’esperienza del moto o dello stato di quiete, ma se non vengono sperimentati, perfino moto e quiete sono reciprocamente soltanto relativi. Il dilemma di oggi è appunto questo: superare la teoria della relatività assieme al relativismo del pensiero odierno, sconfinante nel nichilismo.
